Andy Warhol, artista poliedrico e geniale, forse tra i più noti esponenti dell’arte contemporanea, è considerato da tutti come il padre della Pop Art. Tuttavia, sono molte le curiosità sulla vita e sulle sue opere che non tutti sanno. Eccone 15 da leggere tutte di un fiato.

1. Il vero nome di Andy Warhol era Andrew Warhola, a causa delle sue origini cecoslovacche;

2. Il suo talento artistico si manifestò in tenera età, dopo che la madre, durante una convalescenza, gli regalò del materiale per poter disegnare;

3. Conseguiti gli studi in arte pubblicitaria al Carnegie Institute of Technology di Pittsburgh, Andy Warhol si trasferì a New York dove inizio a lavorare come illustratore per riviste come Vogue, Harper’s Bazar e Glamour;

4. La prima esposizione delle sue opere avvenne alla Hugo Gallery di New York, nel 1952: si trattava di 15 disegni ispirati ai libri Truman Capote, che in seguito divenne uno dei suoi più fedeli amici;

5. La madre di Warhol, Julia Warhola, che visse con lui nella Grande Mela fino al 1971, ebbe un grande peso nella vita e nel lavoro dell’artista, tanto da condividere con lui molte delle sue esperienze artistiche;

6. Durante gli anni in cui Andy Warhol iniziò a produrre le sue opere, la scena artistica statunitense era dominata dalla “pittura d’azione” o “action painting”, una tecnica in cui la vernice colorata veniva versata o lanciata sulla tela, affidando al caso la definizione delle forme. Il giovane Andy si contrappose a questo modo di fare arte, credendo invece che il processo creativo dovesse rimanere sotto controllo dell’artista, tanto da avere il poter di trasformare oggetti di uso comune come le bottiglie della Coca Cola e le lattine della zuppa in vere e proprie opere d’arte.

andy warhol tomato soup

7. La tecnica serigrafica su tela, con cui l’artista poteva riprodurre all’infinito le sue opere, venne introdotta da Warhol nel 1962: siamo agli albori del genere “Pop”. Poiché, infatti, secondo il grande artista originario di Pittsburgh l’arte deve essere “democratica” e “di massa”, è necessario che sia replicabile come qualunque altro prodotto industriale. Sono di questo periodo alcune delle opere di Andy Warhol più conosciute, con oggetto personaggi famosi come Marylin Monroe e Mao Tse-Tung, da cui hanno avuto origine molte delle grafiche più ricercate dell’artista;

andy warhol marilyn

8. La “Factory” era il laboratorio creativo di Warhol, inteso come una vera e propria bottega medievale in cui, oltre ai suoi più cari amici ed allievi, passavano anche alcuni dei più grandi artisti del tempo: cantanti come Bob Dylan, Jim Morrison e David Bowie, registi, scrittori e così via;

9. Fra le opere più suggestive dell’artista neworkese ci sono i “Fiori” o “Flowers” realizzati  nel 1964 e messi in mostra per la prima volta alla Leo Castelli Gallery e successivamente presso la Galleria Ileana Sonnabend di Parigi. Con questa produzione, per la prima volta Andy Warhol metteva al centro delle sue tele un elemento della natura, i fiori d’Ibisco, unendo insieme lo stile impressionista con quello astratto. Questo, che può considerarsi anche come un omaggio al genere della natura morta affrontato da tutti i più grandi artisti del presente e del passato, è stata anche una delle ultime opere realizzate dal padre della Pop Art con la tecnica della pittura prima di dedicarsi al cinema e ad altre forme di espressione artistica;

andy warhol flowers

10. Un’altra curiosità legata ai Flowers” di Warhol, che sono stati realizzati in vari formati, da una decina di centimetri fino ai 2,5 metri per lato, è che l’ispirazione non venne all’artista guardando dei fiori reali ma la copertina di una rivista, in cui spiccava la foto di questi fiori  della fotografa di Patricia Caulfield. Nell’articolo collegato all’immagine si parlava anche di un nuovo metodo di elaborazione del colore realizzato da Kodak, proposto attraverso un layout di riproduzioni affiancare molto simile alla serigrafia. Per realizzare poi la sua opera, in cui i fiori hanno un aspetto quadrato e quasi irriconoscibile, Warhol ritagliò e ruotò su sé stesso l’immagine fotografica, dopodiché ne appiatti il colore aumentando al massimo il contrasto con lo sfondo;

11. A giugno del 1968 Andy Warhol venne ferito dai colpi di un’arma da fuoco sparati dall’attivista femminista Valerie Solinas. Anche se non testimoniò in tribunale contro la sua assalitrice, l’artista ne rimase profondamente segnato, non solo per le ferite riportate, ma anche sotto il profilo psicologico. Iniziò infatti a diradare le sue apparizioni pubbliche e spesso raccontava agli altri che da quel 3 giugno si considerava in tutto e per tutto come “un uomo tornato ufficialmente alla vita dalla morte”;

12. Nonostante la sua fama e l’aspetto da divo, Andy Warhol aveva un carattere schivo e riservato. Era inoltre cattolico praticante e faceva volontariato presso i rifugi per senzatetto. Il sacerdote della chiesa di New York che l’artista frequentava, riferì dopo la sua morte che Andy assisteva alle cerimonie quasi ogni giorno. Si dichiarava, inoltre, lui stesso molto orgoglioso per aver sovvenzionato gli studi in seminario del nipote;

13. La celebre frase a lui attribuita a questo artista geniale e poliedrico “Nel futuro ognuno di noi sarà famoso per 15 minuti” è, in verità, la parafrasi di una riga del catalogo di Warhol per una mostra al Moderna Museet, Stoccolma, realizzata da febbraio a marzo 1968. L’espressione, che può essere considerata anche come una profezia dell’uso dei social dei nostri tempi, venne ripresa anche per il titolo di un programma televisivo da lui stesso ideato nel 1985 per il canale MTV americano che si intitolava “Andy Warhol’s Fifteens Minutes”;

14. L’ultima sua opera d’arte, intitolata “Last Supper” e ispirata all’Ultima cena di Leonardo Da Vinci, venne realizzata nel 1987, poco prima di morire per un banale intervento alla cistifellea. Alla sua morte la fama e le quotazioni delle sue opere subirono subito una grande impennata, tanto da renderlo il “secondo artista più comprato al mondo dopo Pablo Picasso”;

15. Andy Warhol non realizzò soltanto opere fine a sé stesse, ma anche destinate a scopi commerciali, come la copertina del disco della band The Velvet Underground, di cui era anche produttore. L’immagine ritraeva una banana e divenne una vera e propria icona, tanto da sostituire il nome stesso del disco che divenne “banana album”. Quello che però non tutti sanno è che la copertina originale aveva una buccia adesiva che si poteva staccare, rivelando una banana di colore rosa al di sotto. C’era anche la scritta allusiva: “Peel slowly and see” che tradotto in italiano significa “Sbucciare lentamente e vedere”. In seguito, per motivi commerciali, l’immagine venne sostituita con quella del frutto giallo che conosciamo tutti.